Famiglia

La catastrofe dietro l’angolo

E' a capo del Programma antidroga dell’Onu in Colombia. Da 30 anni per le Nazioni Unite ha girato tutti i punti caldi del pianeta. Intervista a Sandro Calvani.

di Paolo Manzo

A guardarlo bene, Sandro Calvani avrebbe potuto fare benissimo il professore: occhialini, voce pacata, pelata saggia, di quelle che danno fiducia. «In effetti, se fossi rimasto in Italia, probabilmente sarei diventato titolare di cattedra. La dottoressa che contribuì alla mia tesi, di tre anni più vecchia di me, è diventata ordinaria lo scorso anno. Per fortuna ho deciso di andarmene negli States, a 24 anni, poco meno di 30 anni fa». Precursore della fuga dei cervelli di cui tanto si parla oggi, questo ex assistente dell?università di Genova si specializzò in Gestione delle emergenze sanitarie in grandi popolazioni a Lovanio, in Ecologia delle comunità rurali alla Colorado State University e in Gestione dello sviluppo e dei conflitti ad Harvard. Dal 1980 al 1988 Calvani coordinò gli aiuti internazionali della Caritas per passare poi al Palazzo di vetro: prima come direttore dell?Oms per l?Africa, poi come coordinatore del gruppo di lavoro di otto agenzie delle Nazioni Unite sull?Hiv-Aids per l?Asia e il Pacifico, infine a capo del Programma Onu per la droga e il crimine. Con sede a Bogotà, Colombia. Un vero cervello in fuga. Che ha scritto ben 17 libri sul tema della globalizzazione e sui suoi lati oscuri, (l?ultimo per Sperling & Kupfer intitolato Saccheggio globale – La nuova criminalità nel mondo senza frontiere), che su Vita ha una rubrica settimanale lettissima (Monópoli globale) e che è venuto a visitare la nostra redazione in uno dei suoi pochi momenti di libertà. Per parlare di come va il mondo, fuori dai denti, perché, precisa subito, «le opinioni espresse in quest?intervista non rappresentano necessariamente l?opinione delle Nazioni Unite. Sono le mie, punto e basta». Meglio così. Vita: Iniziamo dalla fine: da un anno circa lei si è trasferito a Bogotà. Che realtà ha incontrato? Sandro Calvani: In Colombia oltre la metà dei dipartimenti (equivalenti alle nostre regioni, ndr) non è governata, nel senso in cui lo intendiamo comunemente noi europei. Due settimane fa, per esempio, ero nel dipartimento del Guaviare, nel sud del Paese: 80mila persone con 12 medici? Il colmo è che uno di loro, un bravo medico di quelli che andavano in moto a vedere tutte le famiglie di tutti i villaggi sotto il controllo della Farc, è stato eletto governatore. E, quindi, ora ci sono 11 medici per 80mila persone. Senza ricordare che non c?è un dentista nel Guaviare, né un?ostetrica, né un ginecologo. Vita: Insomma, il governatore c?è, ma manca un governo degno di essere considerato tale? Calvani: Esattamente: pensare che il governo esista solo perché c?è un posto di polizia e un governatore, significa dare per buone le norme che abbiamo noi in Occidente. Ma in Colombia la situazione è un po? differente. Pensi che mesi fa sono stato fermato da un commando di guerriglieri della Farc. Primo: erano tutte donne. Secondo: non volevano rubarmi l?auto, ma bruciarmela, per protestare contro il sistema. Terzo: quando ho cercato di spiegare loro chi ero ho rischiato molto con l?assonanza, in spagnolo, tra Naciones Unidas ed Estados Unidos. Vita: Ma poi hanno capito? Calvani: Diciamo che l?ho sfangata, e ho pure salvato la macchina. Ma mi sono reso conto di una cosa che mi ha fatto pensare: nessuna delle guerrigliere della Farc sapeva che esistessero le Nazioni Unite. Vita: Molti criticano l?Onu. Lei che idea s?è fatto? Calvani: Quando la carta delle Nazioni Unite fu scritta, aveva una grandissima dimensione di speranza, sogno, visione e leadership. Molti di quei sogni non è stato possibile realizzarli a causa della Guerra fredda. Dopo il 1989 il conflitto ideologico diminuì ma oggi, a causa delle vicende post 11 settembre, con le guerre in Afghanistan e Iraq, tutto il mondo dice: ci vogliono delle altre Nazioni Unite. Io, invece, non credo ci voglia un altro Onu rispetto a quello pensato ab origine. Anche se ci sono componenti anacronistiche sul piano storico dello statuto. Vita: Cosa dovrebbe essere cambiato, secondo Sandro Calvani, del Palazzo di vetro? Calvani: I cinque membri del Consiglio di sicurezza con diritto di veto e le forme di voto dell?Assemblea. E non sono solo io a dirlo: molti amici del Segretariato la pensano allo stesso modo. Vita: In Italia uno dei temi caldi è proprio la riforma dell?Onu. Lei che fa parte del Segretariato, fianco a fianco con Annan, come giudica le varie ipotesi di riforma che si stanno discutendo, da una decina d?anni a questa parte? Calvani: Il principio sacro dell?Onu, un Paese un voto, scricchiola parecchio. Sa, non è molto democratico. È come dire, in un grande condominio, dove chiunque abbia un garage pesa come il proprietario del supermercato. È ovvio che l?assemblea condominiale finisce a pugni… Attualmente è la situazione che abbiamo all?Onu, dove ogni abitante di San Marino conta 50mila volte un abitante della Cina, ed è chiaro che Pechino non sia d?accordo con questo privilegio. Ma non c?è solo la repubblica del Titano, anzi, le eccezioni sono la maggioranza. Pensi a Timor Est che si separa dall?Indonesia con i suoi 200mila abitanti e ha diritto a un voto, come l?Indonesia, che di abitanti ne ha 220 milioni? Vita: Sì, ma quali sono le riforme possibili, di cui s?inizierà a discutere da ottobre a New York? Calvani: Esistono varie formule per ottenere più democrazia all?Onu. Una è il sistema a punti, come per la patente. Vita: Come funzionerebbe? Calvani: L?Onu ha regole e leggi, per cui i Paesi che non rispettano le sue risoluzioni perdono punti e, alla fine, uno Stato membro si potrebbe ritrovare senza diritto al voto in Assemblea generale, perché non ha rispettato le leggi. Oggi abbiamo una serie di trattati internazionali firmati e non rispettati che fanno perdere credibilità a tutto il sistema Onu: la proposta con il voto a punti aiuterebbe a recuperarla. Altra riforma al vaglio per aumentare la democraticità dell?Onu è l?introduzione di un sistema bicamerale: oggi c?è solo un?assemblea di governi e la seconda Camera potrebbe essere eletta direttamente dai popoli. Magari con la metodologia – che a me piace molto – della democrazia della radice quadrata. Vita: Calvani, ci mancava solo la matematica? Calvani: Ma no, è semplice. Il sistema inventato da Johan Galtung prevede che, ogni milione di persone, un Paese abbia diritto a un seggio con relativo voto. I Paesi che non arrivano a un milione di persone si devono associare, mentre quelli che superano il milione di persone vedrebbero i loro voti ponderati con la radice quadrata. Con questo metodo la Cina avrebbe 33 seggi alla Camera dei popoli dell?Onu e l?Italia otto, ma assieme a Francia e Germania avrebbe tanti rappresentanti come Pechino. Ciò permetterebbe un sistema internazionale più bilanciato. Vita: C?è anche chi propone un sistema tipo Banca mondiale, coi voti collegati al contributo dei Paesi membri al bilancio Onu… Calvani: Sì, ma è un sistema a rischio, perché i ricchi sarebbero molto più potenti degli altri. Comunque tutte le proposte sono sul tavolo, c?è un comitato di esperti nominato da Annan che le discuterà da ottobre e, in teoria, entro tre anni si dovrebbe arrivare a un accordo. La commissione è aperta a tutti i Paesi e noi del Segretariato siamo abbastanza ottimisti e uniti attorno ad Annan, che vorrebbe approvare la riforma prima di andarsene, alla fine del 2005. Anche se in molti Paesi membri non c?è uguale fretta e consenso. Vita: Preoccupante, anche perché oltre a sistemi più democratici di voto in Assemblea generale, c?è lo scoglio del diritto di veto in Consiglio di sicurezza? Calvani: Le proposte per la riforma del Consiglio di sicurezza sono molte ma generano un po? più d?interesse quelle di Germania, Giappone e Brasile. A mio parere, tutte ipotesi d?aggiustamento che si occupano solo del presente, mentre dovremmo trovare soluzioni per il futuro. Varrebbe la pena fare una regola che valga per i prossimi cinquant?anni, e abbia un fondamento credibile nel diritto internazionale e non solo nel passato o nel presente (il Brasile è grande, l?India è popolosa, il Giappone e la Germania hanno perso la guerra). Vita: Non crede che l?ottimismo del Segretariato sia eccessivo? Calvani: No, il nostro ottimismo si basa sulla forza del diritto: se il mondo vuole darsi delle regole che siano davvero credibili di fronte ai vari governi, ai popoli e alla società civile, deve basarsi sul diritto internazionale. La forza del diritto deve possedere una logica stringente e non basata sul passato. Come il diritto di veto, che si basa su chi ha vinto la seconda guerra mondiale sessant?anni fa! Perché se vogliamo mantenere quella come regola del gioco, l?unico modo per cambiarla è fare un?altra guerra mondiale. Il che non è affatto escluso, perché ci sono delle dinamiche esplosive a livello internazionale? quella dell?acqua, quella dell?energia, quella della popolazione. Vita: Insomma l?alternativa è tra una riforma in senso democratico e protesa verso il futuro del sistema internazionale nato per dirimere le controversie mondiali, oppure un’altra guerra mondiale… Calvani: Non è escluso che, non trovando soluzione alle tante problematiche emergenti, si arrivi a un ?quarantotto?, come diciamo noi in Italia. Che esploda qualcosa perché, finalmente, si possa ricominciare da capo. Il che, a mio avviso, sarebbe davvero un costo troppo alto da pagare solo perché qualcuno non vuole rinunciare al diritto di veto. D?altronde se uno considera le facoltà di politica estera Usa, da Yale a Harvard, non ce n?è una che trovi una giustificazione al diritto di veto e tutte propongono formule alternative, che si fondano sul diritto internazionale. Vita: Ma, le ripeto, è realistico che ciò possa accadere? Calvani: Lo spero proprio. L?altra ipotesi sarebbe spaventosa. Del resto noi vediamo un mondo che cambia in continuazione, su tutto: la legge contro le mine l?ha proposta un?ong, e non era mai successo prima; la legge su Internet l?ha inventata un gruppo di esperti. Allora chiedo io: perché le regole fondamentali su cui si basa la pace devono fondarsi su principi che non funzionano e hanno dimostrato la loro debolezza? Vita: Come spiega questa difficoltà nell?avere il coraggio di guardare verso il futuro? Calvani: Uno dei grandi temi di oggi è la mancanza di leadership al mondo: mancano teste pensanti che abbiano potere. Ce ne sono tante nelle università, ma non al potere, non esistono leader con una visione per il futuro. Né in Europa né altrove. Pensate che Bush, alla Casa Bianca, ha disdetto tutti gli abbonamenti a periodici e quotidiani. Il presidente degli Stati Uniti non legge i giornali. Nella generazione precedente ce n?erano anche troppi, che hanno inventato tanti sogni ma, attualmente, scarseggiano i leader, persino al di fuori dell?ambiente politico. Vita: Lei ha studiato negli States, alla Colorado State University e ad Harvard, negli anni 70. Com?è cambiata l?America negli ultimi 10 anni? Calvani: Un esempio vale più di mille teorie. Sono stato molte volte in Florida: i 300 chilometri tra Miami Beach e Orlando sono sempre stati una spiaggia aperta, il posto più tranquillo al mondo. Qualche settimana fa sono andato da quelle parti in vacanza. Per entrare all?hotel dalla spiaggia, c?era un controllo di sicurezza; io ero col mio ultimo figlio, adottato in Etiopia e, quindi, nero. Ebbene, negli States, anno domini 2004 e con il 15% di popolazione nera, se io e mio figlio tornavamo dopo le sei di sera, eravamo bloccati dal responsabile della sicurezza. Ogni giorno. Vuole che le ripeta il nostro dialogo quotidiano? Vita: La prego. Calvani: «Il signore è con lei?». «Sì, è mio figlio». «Signore, mi spiace, devo controllare perché non è possibile». Una risposta da esperto di genetica perché, vedendo me e mia moglie bianchi, per lui mio figlio non poteva essere nero. E proseguiva, imperterrito: «Di che nazionalità è il ragazzo?». «Italiana». «Da quanto tempo l?ha acquisita?». «Da 19 anni, l?abbiamo adottato da piccolo». «E da quale Paese arrivava prima?». «Guardi, è stato adottato a 22 mesi» «Sì, ma esistono dei Paesi a rischio». Ecco cos?è cambiato: la gente negli Usa è stata addestrata a cercare il rischio. Anche dove non c?è.


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